Jallalla Bolivia! Vivere con gli Aymara a 4000 metri

Diario di viaggio: dal cuore di La Paz alle rive del Lago Titicaca, un percorso tra tradizioni Aymara, Pachamama e la filosofia del Vivir Bien

BOLIVIA

6/19/20254 min read

La lunga carretera che dal cuore pulsante di La Paz si spinge fino a Copacabana, attraversando campagne semideserte e accarezzando le sponde del Lago Titicaca, unisce e tiene insieme mondi diversi e complementari.

Dal ritmo incalzante della capitale, cacofonia di colori e rumori stridenti e sovrapposti, si precipita in uno spazio apparentemente vuoto. Il paesaggio nudo della campagna boliviana si staglia nitido sullo sfondo di un cielo enorme. Non vi sono distrazioni al di fuori di questa mescolanza verde-azzurra; di tanto in tanto irrompe sulla scena un pueblito, un grappolo di case dalla costruzione interrotta o una cholita che porta al pascolo le mucche, un branco di lama. Così per decine di chilometri.

La mente rallenta, impara a respirare ad un’altra velocità e si chiede come possano convivere, adiacenti, due realtà tanto diverse. Com’è possibile che, seppur sfiorandosi, la ciudad e il campo mantengano così intatti i propri contorni, senza sfumare irrimediabilmente l’una nell’altro?

Mentre pensieri del genere aleggiano nella mia mente, compare all’orizzonte la lingua azzurro-marina del Lago Titicaca. Seguendo con gli occhi il profilo dei suoi isolotti, mi accorgo di quando sono abbastanza vicina a casa da poter annunciare la mia discesa. “Voy a bajar, por favor!” grido al conducente e il minibus arresta bruscamente la sua corsa per permettermi di scendere.

Sono a Huatajata, piccolo pueblo sulle sponde del lago che per me quest’anno è casa. La popolazione qui è nella sua quasi totalità di etnia aymara e contadina di professione. Curvi sui campi, uomini e donne di qualsiasi età si muovono instancabili tra le zolle, la terra morbida sui piedi a volte nudi e fin quasi a lambire gli orli delle larghe polleras (gonne) che le cholitas (donne indigene boliviane) indossano in qualsiasi occasione.

È usanza molto sentita salutarsi sempre, anche tra sconosciuti. “Buenos dias! Kamisaki? (Buongiorno! Come sta?)” “Waliki, gracias! (Bene, grazie!)”

È bello vedere quei volti spesso imbronciati e cotti dal sole dell’altopiano distendersi per qualche istante in curve gentili, dimentichi della fatica provata appena pochi istanti prima. È un mistero da dove traggano tutta questa forza, qui dove l’aria sottile dei 4000 metri rende ogni movimento doppiamente piu` faticoso e dove venti gelidi e sole cocente si alternano senza soluzione di continuità tutto il giorno tutti i giorni.

Ho il sospetto che questo loro attaccamento quasi viscerale alla terra non sia soltanto frutto di una concreta necessità di sostentamento, ma sia altresì espressione di una devozione profonda nei confronti della Pachamama, una preghiera umile e silenziosa che si ripete da migliaia di anni.

Incarnata in Pachamama, dea Inca della fertilità, la Madre Terra è stata da sempre fulcro della cosmovisión andina, tanto che ancora oggi si eseguono in suo onore pratiche rituali che hanno nel principio della reciprocita` la loro essenza. Secondo tale principio, per mantenere un equilibrio tra natura e uomini, questi ultimi devono restituire alla terra tutto ciò che essa ha dato loro durante l’anno.

Per questa ragione, gli Aymara non perdono occasione di fare piccole offerte alla Pachamama, versando parte del contenuto dei loro bicchieri al suolo durante i brindisi o anche spargendo al vento le tradizionali foglie di coca.

Storicamente considerata un dono degli dei, preziosa quanto l’oro e l’argento per le sue straordinarie proprietà curative, la foglia di coca è protetta dalla Costituzione Boliviana come patrimonio culturale e fattore di coesione sociale.

Il suo utilizzo è intrinsecamente connesso alla filosofia del Vivir Bien, modello proposto dai popoli indigeni in contrapposizione alla logica di sfruttamento e prevaricazione propria del sistema capitalista. Alla cultura della morte e alla concezione antagonistica del rapporto con l’altro e con le risorse naturali, viste come soggetti da sfruttare illimitatamente, il Vivir Bien contrappone la complementarietà e la condivisione.

Questa visione si concretizza in molti modi nel quotidiano e uno tra tutti è l’apthapi, una pratica di fratellanza con cui gli Aymara condividono varie pietanze, solitamente riposte all’interno degli aguayos, coloratissimi panni tradizionali utilizzati dalle donne per trasportare di tutto, dal cibo ai bebè.

Ogni venerdì io e gli altri volontari che stanno svolgendo il servizio civile con me a Huatajata condividiamo l’apthapi con le abuelitas, le nonnine della comunità, che con gioia spalancano sul prato i loro aguayos e ci porgono con un sorriso piatti colmi di papas, chuños, fideo, platano, ispi e cosi` via, incoraggiandoci ad accettare quei doni con un affettuoso “Yo te invito”.

Ed è commuovendomi di fronte a questi gesti che emanano un calore e una forza millenari, o stringendo queste mani robuste sempre tese verso l’altro (anche quando l’altro è un gringo appena conosciuto) che realizzo quale sia l’autentica bellezza di questo Paese incastonato nel cuore dell’America Latina.

Succede che in questo Stato Plurinazionale, che abbraccia culture ancestrali e moderne e mondi contigui che parlano lingue diverse, mi dimentico di essere straniera. Lo stesso concetto di “straniero” si svuota del significato che siamo abituati ad attribuirgli e nel preambolo della Costituzione Boliviana si trova scritto quanto segue: "Popolammo questa sacra Madre Terra con volti diversi e comprendemmo fin da allora la pluralità intrinseca di tutte le cose e la nostra diversità come esseri umani e culture. Così formammo i nostri popoli e non conoscemmo mai il razzismo fino a quando non lo subimmo nei tragici tempi della colonizzazione."

La pluralità umana è specchio della diversità naturale, o meglio ne è l’ennesima manifestazione, e non vi è luogo su questa Terra in cui debba essere bandita la sua espressione. Sono grata alla Bolivia oggi e lo sarò altre mille volte per risvegliare in me ogni giorno il desiderio di celebrare la vita in tutte le sue forme.

Jallalla Bolivia! Viva la Bolivia!